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L’inserimento di persone in esecuzione penale esterna presso un ente di terzo settore: l’esperienza di Porta Aperta

La pena, come sancisce la nostra Costituzione, deve essere intrinsecamente orientata al reinserimento sociale, educativo, lavorativo delle persone che la scontano; e questo può avvenire anche grazie alle misure non tradizionali che dal 1975 nell’ordinamento italiano realizzano quell’ideale che vede nelle misure di esecuzione penale, un ponte tra carcere e società.

di Laura Solieri

Scontare la proprio pena attraverso un’attività, un impegno e un coinvolgimento della comunità di appartenenza, contribuisce positivamente a ridurre la probabilità che una persona commetta nuovi reati. Le misure alternative sono dunque strumenti efficaci nel favorire il reinserimento sociale delle persone con trascorsi giudiziari.

Le persone che possono accedere a queste misure, elaborano insieme al personale dell’UEPE un progetto personalizzato che può prevedere tra le altre cose, anche lavori di pubblica utilità o attività di volontariato. «A Porta Aperta sono principalmente tre le aree dove queste persone vengono inserite: al mercatino del riuso Arca, nella mensa del Centro di accoglienza della Madonna del Murazzo e presso l’Emporio sociale Portobello – spiega Federica Bertozzi, che ha da poco conseguito la laurea magistrale in Gestione delle politiche, dei servizi sociali e della mediazione interculturale presso l’Università di Urbino con una tesi dal titolo “Valutazione e monitoraggio dei progetti nel sociale. Indagine valutativa di un progetto di inserimento di persone in esecuzione penale esterna presso un ente di terzo settore” – Per il conseguimento del titolo ho svolto un periodo di tirocinio presso il UEPE di Modena che mi ha permesso di raccogliere preziose informazioni. All’interno dell’elaborato ho riportato gli esiti di un’indagine valutativa volta a cogliere punti di forza e punti di debolezza del progetto grazie al quale persone inviate dall’UEPE si inseriscono nelle attività di Porta Aperta, associazione per la quale lavoro in qualità di impiegata amministrativa. Ciò che mi ha sempre “toccato” di questa realtà e dimensione è il ruolo e la potenza delle seconde opportunità; noi tutti sovente chiediamo dopo uno sbaglio di poter usufruire di una seconda occasione; sono fortemente convinta e nutro grandissima ammirazione per tutti coloro che giornalmente dedicano il proprio lavoro a permettere che questo possa avvenire».

Federica ha intervistato sette persone che hanno svolto o stavano ancora svolgendo al momento dell’intervista un periodo significativo (minimo 3 mesi) di volontariato o lavoro di pubblica utilità presso Porta Aperta; per alcuni di loro si è trattato di un tempo relativamente breve, per altri si parla di esperienze anche pluriennali.

Per una questione di privacy i volontari o le persone non strettamente responsabili dei servizi non conoscono i servizi invianti e la storia di queste persone; spesso come loro stessi hanno raccontato a Federica sono loro a parlarne con alcuni volontari con i quali si instaura una relazione di amicizia. «A seconda dell’area di inserimento viene dunque chiesto loro di svolgere attività come viene chiesto ai tanti volontari che ci aiutano: dal tagliare le verdure all’aiutare i colleghi che si occupano di sistemare le cose che vengono donate al mercatino, dall’ aiutare nel riordino della cucina all’occuparsi della logistica del magazzino dell’Emporio – illustra Federica – Con la ricerca di tipo qualitativo che ho condotto, ho desiderato raccogliere i punti di vista, le opinioni di diversi interlocutori che partecipano quotidianamente al progetto. Prima di tutto le persone in esecuzione penale esterna, ma anche gli operatori sia del servizio inviante che di quello ricevente. Per alcune persone in esecuzione penale esterna l’obiettivo delle assistenti sociali può essere quello di far sperimentare esperienze di cittadinanza attiva, testare il grado e la capacità di autonomia delle persone oppure la loro capacità relazionale, talvolta la capacità di assumersi gradualmente maggiori responsabilità. Non solo dunque ripagare simbolicamente la comunità per il reato commesso. In questi casi l’adempimento di un’attività o di un compito sono solo qualcosa di funzionale rispetto ad altro.

Un altro aspetto su cui riflettere è come arricchire questa esperienza offrendo per esempio insieme alle attività pratiche, dei corsi di formazione professionalizzanti; oppure sul come coinvolgere il settore produttivo, le aziende private del territorio per dare un seguito maggiormente professionalizzante alle esperienze di volontariato».

Come ha preziosamente suggerito la dott.ssa Feo, funzionario di servizio sociale dell’ULEPE di Modena, obiettivo comune di tutti gli inserimenti, è quello di ricreare simbolicamente quel senso di sicurezza e di fiducia reciproca tra la persona e la comunità, interrotta con la commissione del reato.

Ed è esattamente questo che in molte interviste è emerso. Alla domanda sulla maggiore gratificazione ricevuta, c’è chi ha risposto con il senso di accettazione ricevuto dai volontari, chi ha ricordato il giorno nel quale gli sono state date più responsabilità premiando l’impegno e la fiducia. Chi ha riferito che il più grande insegnamento sia stato vedere con i propri occhi cosi tanti e buoni esempi di altruismo e di generosità “…pensando a loro, cerco di comportarmi bene, correttamente… ha riferito una delle persone intervistate.

«C’è chi mi ha raccontato di aver trovato veri e propri amici tra i volontari, alcuni una seconda famiglia, tanto da invitarli al proprio matrimonio; altri tutt’ora sono una preziosa risorsa per sopportare la nostalgia e la solitudine delle proprie giornate – conclude Federica – La forza di Porta Aperta deve e non può che trovarsi tra i suoi volontari, in quella voglia di riscoprirsi parte di una comunità che si fa carico insieme delle gioie ma anche delle difficoltà che inevitabilmente si incontrano e si decide di condividere».